SAW
- L’Enigmista
Quando il male è pura essenza
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Com’è
stato ampliamente dimostrato un film non necessita di budget spropositati
o di un cast stellare per essere considerato un buon prodotto. Anzi,
di questi tempi pare proprio che Hollywood non riesca a centrare
il bersaglio, mentre invece nuovi pulpiti di creatività arrivano
sempre più frequentemente da autori alle prime armi. Questo
è proprio il caso di Saw, film girato dal semi-esordiente
James Wan con lo stesso budget che Episodio III ha utilizzato solo
per il catering e con un cast che riporta sugli schermi Danny Glover,
il mitico ammazza-predator, Leigh Whannel, anche sceneggiatore della
pellicola, apparso solo in un ruolo secondario in Matrix Reloaded,
e Cary Elwes. |
La storia comincia con grande semplicità:
due uomini, un dottore, Lawrence Gordon e un fotografo, Adam, si ritrovano
incatenati ai bordi di un sotterraneo, con una terza persona già
morta al centro della stanza: i due apparentemente non si conoscono, non
ricordano come sono finiti lì, ma sanno soltanto che l’unico
modo che hanno per uscire è uccidere il compagno, previa amputazione
della gamba incatenata.. senza anestesia.
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Con grande originalità
la storia si complica, grazie allo sviluppo dell’intreccio, alternato
a numerosi flashback, che compongono questa sorta di inquietante mosaico,
nel quale, col procedere del tempo, ogni pezzo comincia a combaciare.
Il punto forte del film risiede nell’entità dell’antagonista:
qui, infatti, la figura di Jigsaw, il sadico assassino (che tecnicamente
non è, poiché non uccide le sue vittime personalmente) è
solamente un’emblema, la raffigurazione materiale di un’entità
astratta, che è appunto il male nella sua essenza più pura.
La sua finalità infatti non è malvagia: egli non vuole uccidere
le sue vittime per sadismo, ma per ricondurle alla valorizzazione della
loro vita. Tutte quelle morti diventano quindi più sensate, come
se in realtà fossero dovute proprio alle colpe di ogni singola
persona e Jigsaw fosse solo l’esecutore di una punizione non fine
a se stessa, ma al cambiamento degli individui: peccato che per farlo
li costringa ad eseguire azioni impensabili e disumane.
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La linea psicologica, come avrete notato, è
quindi tesissima, aiutata da una struttura molta solida, nonostante la
sua frammentarietà e i numerosi colpi di scena che stravolgono
di continuo la trama.
Infarcito, infine, con una sana dose di citazioni ai più grandi
film di genere, dalle atmosfere Lynchiane, al cinema di Fincher, ma anche
al nostro Argento o a quei registi famosi per i colpi di scena, quali
Shymalan o Singer, questo film riesce a stupire e a farci rizzare i peli
dietro la nuca.
E il finale è uno dei più originali e sorprendenti di sempre,
paragonabile a grandi quali Seven o Il Sesto Senso.
Recensione ad opera
di: Quent
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